venerdì 23 dicembre 2011

Auguri

Parla, sogna, balla, continua a cantare, (ma soprattutto) regala senza sosta il tuo amore


giovedì 22 dicembre 2011

La discussione della tesi di Laurea

Per la serie: ma che ce rappresenti?
Forse Alessia Fabiani, perché famosa,ha subito un trattamento
diverso. Chissà?
Io l'ho fatta due volte, la discussione della tesi, intendo, al triennio per i tabù linguistici e poi alla specialistica per un elaborato un po' più consistente sulla social translation, e mi è andata bene. C'erano docenti competenti, una commissione che almeno all'apparenza, perché alla fin fine solo di formalità si tratta, sembrava ascoltarmi. Ho visto toghe, non ho sentito sbagliare nomi né titoli, si pretendeva un minimo di serietà anche dai laureandi e dai parenti caciaroni che si sa, certe volte ci fanno anche un po' sorridere. Perché sembra che quel figlio che si laurei sia il più bravo al mondo, mentre quello già pensa in quante striscioline tagliarla quella pergamena. E qui vado fuori tema, come sempre, quindi rientro. Per dire che c'è anche chi non ha avuto la mia stessa fortuna durante la discussione, ed è un caso documentato.
Susanna si trova il 14 dicembre scorso a discutere la sua tesi di laurea specialistica in sociologia presso l'Università La Sapienza di Roma. È stata molto brava, perché il percorso dei due anni se l'è fatto in due anni. Perché mentre, finiti gli esami a luglio, seguiva lo stage formativo e si faceva una bella esperienza, diciamo, per non colorire troppo il discorso, a gratis presso il centro di ricerca che le ha garantito i crediti richiesti dall'università, la tesi la stava preparando nei tempi previsti. E l'ha discussa senza nemmeno sforare l'anno venturo.
La preparazione e la stesura della tesi, quando lo studente ci tiene, richiedono un lavoro certosino e tanta pazienza, e nervi saldi, nonché passione e voglia di fare. E speranze, mettiamocele, perché è vero che solo dopo ti rendi conto che la tua tesi vale e non vale, in base a come ti dice la fortuna. Comunque. Il periodo di preparazione stressa, certo, lavorare nei campi è più faticoso, ma è pur sempre un'esperienza, uno step importante nella vita di chi si laurea, che forse merita un tantinino di considerazione nel momento di discussione. Sì, se ne laureano un milione l'anno e i prof non sono più impressionabili, e la tensione è tutta dello studente, ma è vero anche che di docenti al mondo ce ne sono una marea e la maggior parte di essi si sente molto importante pur proponendo per anni lo stesso piano di studi.
Susanna, prima in ordine alfabetico nella mattinata nella seduta di laurea, arriva trafelata alle 9:08 all'università vestita di tutto punto, col suo librone bianco sotto braccio, col cuore a mille e corre verso l'aula dove si terrà la discussione. Sì, perché l'ha chiamata la sua collega di corso romana, che l'aspettava lì, per assistere all'evento, dicendole: "Guarda che ti hanno chiamata ora!". Il padre di Susanna e il suo ragazzo stanno parcheggiando. La madre e la sorella la seguono di corsa. Susanna arriva davanti all'aula, l'amica la spinge dentro al volo, ed entra dietro di lei con le altre due che col fiatone cercano di non perdersi l'evento. La commissione è solo a metà. La relatrice legge il titolo e introduce Susanna, che inizia a raccontare. Tutto questo mentre altri membri della commissione, in modo rumoroso e molto maleducato, continuano ad arrivare e a sedersi. La correlatrice, senza un filo di voce, ferma il discorso di Susanna e le fa due domande. Susanna inizia a parlare, ma col viavai che c'è sotto nessuno o quasi l'ascolta. Uno dei membri ritardatari si siede e dice a Susanna: "Staremmo ad ascoltarla per ore, ma purtroppo siete in molti e non abbiamo il tempo. Si accomodi pure". Susanna esce, aspetta, intanto il padre e il fidanzato sono arrivati e l'aspettano fuori dalla porta, rientra, viene proclamata dottoressa, e fine della storia. Ore 9:18. Incazzata per non essere riuscita a connettere nemmeno un momento e per non essersi goduta nemmeno un po' di sana ansia del pre-chiamata.
Tutto ciò corredato dal dispiacere di chi non è riuscito a entrare in tempo per vedere la sua figliola/fidanzata laurearsi.
Non c'è molto altro da aggiungere, io direi solo a questi emeriti docenti che il trattamento sarebbe stato diverso se quella mattina a laurearsi ci fosse stata una delle loro figlie. È vero che la tesi non è tutto nella vita di una persona, ma è giusto che quella persona si goda il momento che le spetta. In fin dei conti, sono stipendiati dal Ministero o dall'Università stessa quand'è privata, perché sono gli studenti a dar loro lavoro.
Un minimo di rispetto ci vuole sempre. Quella commissione è un piccolo Parlamento, una piccola Italia, c'è sempre chi, da una parte, si fa il mazzo e chi, dall'altra, campa di rendita, sicuro del culo caldo sulla sedia.

Ah: e complimenti a Susanna per il suo bellissimo e strameritato 110.


sabato 10 dicembre 2011

La cassiera senza vocazione

Dicembre, ahimé Natale, regalini, negozi strapieni, gomitate e liti uscendo dai parcheggi. Che noia.
Nel viavai incessante di gente ansiosa di comprare "il pensierino", ogni anno individuo una figura che attira costantemente la mia attenzione.
Quest'anno la figura eletta è lei: la cassiera senza vocazione.
Un'istituzione, la riconosci subito dal saluto. Quando entri, se ha la possibilità, urla a tutto il mondo "Buongioooorno!" da dietro il bancone in cui impacchetta, batte, imbusta veloce veloce per smaltire presto il lavoro, manco se ad entrare fosse il primo ministro britannico. La cassiera senza vocazione la trovi soprattutto nei grandi negozi, dove deve far vedere a tutti e in particolar modo al titolare che lei adora quel lavoro, anche se lo fa solo a Natale. Sempre un po' bruttina, a meno che non le si imponga di darsi un certo tono, oscilla fra il metro e sessanta e il metro e settanta, e abbonda in forme floscie. Ha sempre, sempre, le sopracciglia al naturale, perché un ritocco lo fa solo il 31 dicembre o per il matrimonio, e i capelli legati a chignon, generalmente con una pinza, perché se lavori devi essere pratica e a mettere su un bell'elastico che impreziosisce la chioma ci vuole troppo.
Cassiera, quando arrivi alla cassa, si diverte a intrattenere colui o colei che sta pagando, facendolo senza buongusto di sorta, con voce alta e squillante e toni ascendenti (quelli umbri, poi, sono particolarmente ascendenti). "Ha visto che bella confezioneeee?", dice con sguardo ammiccante, oppure "Uuhh, questo è carinissimo", di fronte a uno schifo di portapane rosso incandescente con filetti argento, o ancora "Ce lo mettiamo un bel fiocco? La mettiamo in questa bella busta di Natale: guardi quant'è bella!", prendendo dallo scaffale a cui non arriva mai bene un'orrenda borsa col Santa Klaus vintage a stampa sfuocata.
L'espressione tipica della cassiera senza vocazione è una paresi facciale del sorriso con occhioni. Non cambia mai, mai e poi mai, si riposa giusto ogni tanto quando si abbassa a prendere il fiocco o quando le cade una moneta, e poi TAC! riprende subito la forma originaria. Sembra che si spenda tanto per creme antirughe (di espressione), tra le commesse senza vocazione, perché ridono troppo e in quei due mesi invernali si invecchiano di più.
Impossibile capire quali siano gli stili e gli oggetti che piacciono alla commessa senza vocazione, perché il suo gusto si trasforma in base al cliente. Quello che prima era cacca, dopo un minuto può essere oro. "Guardi questa candela decorata a mano: questo punto di rosso è bellissimo sulla tavola!", e due minuti dopo, quando la cliente dice che lei il colore natalizio proprio non lo sopporta: "Il rosso per la tavola? Assolutamente no, è passato. Dicono che la tendenza di quest'anno sia l'azzurro".
Commessa è sempre nel pallone, se fa pagare qualcuno che conosce va ancora di più nel pallone, e si lamenta sempre che in questo periodo è un caos. A Natale bla bla bla, in questo periodo bla bla bla, non si ribatte bla bla bla. Se davanti al bancone, insieme al cliente, c'è un bambino, apriti cielo. Commessa si lancia in una serie smisurata di complimenti banalissimi, "Ciao bello, fai spesa con papà? Hai scritto la letterina a Babbo Natale?"... Io spero sempre che una volta il bambino le risponda "Babbo Natale non esiste, scema", ma non succede mai, purtroppo, perché il creaturo viene ipnotizzato dalla voce squillante di Commessa e non ha il tempo di ragionare e dire "Sì, gli ho scritto che vogl....", che lei ha già ripreso le sembianze della sorriso-paresi per sfoggiarla al papà.
Quando una persona dotata di materia cerebrale colloquia con Commessa senza vocazione, la riconosce all'istante, ma soprattutto si sente preso in giro. Cioè, Commessa, si capisce che fai per finta. "Questo fiocchetto non è bellissimo?", "Il prezzo è una vera occasione", "È perfetto per una signora", "Quello che conta è il pensiero". Commessa, per favore, dacci un taglio. Lo sappiamo tutti e due che tanto lo devo prendere perché non ho scelta, e quindi fai 'sto scontrino e taci. E il suo esploit definitivo Commessa lo fa quando hai pagato e ti porge resto e bigliettino bianco. Sempre urlando, naturalmente, "Ecco a lei, e grazie mille! Per qualsiasi cosa torni pure con questo e si può cambiare". Ma come si può cambiare? Non era bellissimo? Senti, Cassiera, vai un po' a battere lo scontrino successivo, possibilmente limitandoti al grazie e a un sorriso naturale. Tanto lo sappiamo entrambi che quel regalo era obbligatorio e che tu pensi che per stare al pubblico basti dare ragione urlando e ripetendo frasi a disco rotto.
Quella di oggi, poi, era anche una cassiera topolina. No, non nel senso che era carina, ma che sembrava proprio un topolino. Ma va be', questa è per un'altro post, è solo il mio cervello che devia. Stare troppo a lungo concentrata sulla stessa cosa, non ce l'ho mai fatta.

venerdì 9 dicembre 2011

Facebook e Twitter a Terni

Io confido nel social come portafortuna personale.
E già che ci sono, condivido.



Fonte: Corriere dell'Umbria, 9 dicembre 2011

venerdì 25 novembre 2011

Infiniti Sebastian Vettel VS. Cinquecento NM Noemi

Infiniti Sebastian Vettel
Infiniti FX Sebastian Vettel.
L'ha voluta così, esattamente così, e ora è in bella mostra al Salone di Francoforte. Esemplare unico e personalizzato, con modifiche di vario tipo all'aerodinamica, all'abitacolo e soprattutto al motore, per poter raggiungere i 300 chilometri orari di velocità. Certo, perché la Red Bull non gli basta, pure col suv deve andare a trecento. Va be'.
Se Sebastian Vettel, che è classe '87, quindi tre anni più giovane di me, e brutto, ma parecchio brutto, può permettersi di farsi fare una Infiniti  su misura, allora anche io, che sono più grande e non mi reputo poi così cesso, voglio una macchina tutta mia. Sono pure una brava ragazza, dicono, e sembra che mi impegni a fare sempre del mio meglio in quasi ogni cosa, perciò forse potrei anche avanzarla una richiesta. La ridimensiono, eh, mica pretendo il suv, io sono onesta e umile.
Io vorrei una bella Fiat Cinquecento NM Noemi. Non mi importa della velocità, resto sul 1.3 Multijet, che consumo poco. Mi accontento di tutte le dotazioni estetiche in serie, non chiedo modifiche al design, ma ecco, qualche particolare sciccoso all'abitacolo sì.
Esterno: versione con tetto in vetro apribile, nera metallizzata, cerchi in lega, nessuna cromatura, ma maniglie della portiera rivestite di Swarowski. Sono solo due maniglie, più quella del portabagagli, quindi credo che si possa fare.
Io che guido la mia Cinquecento NM Noemi 
Interno: sedili in pelle beige stile poltrona Frau. Cambio automatico. Blue&me, navigatore, clima. E fin qui non mi pare tutto questo lusso, no? Poi. Connessione Internet wi-fi. Comando vocale per la musica e per il vivavoce. Impianto di illuminazione interna da trucco: deve esserci proprio l'interruttorino con il rossetto disegnato, che quando lo premi si accendono tutti piccoli faretti intorno agli specchietti dell'aletta parasole, naturalmente ingranditi per guardarsi bene allo specchio. Mini frigo. Bauletto anteriore con scomparti per deodorante, profumo, chewing-gum, portaoggetti con sportellino per vari usi (!), e poi, udite udite, mini lavandino e attacco per piastra, phon e caricabatterie. Una bella presa USB con adattatore, così, via, se esci e sei in ritardo intanto puoi andare, e per strada ti prepari. Sedili posteriori con scomparto sotto il cuscino, diviso bene per mettere almeno tre paia di scarpe e due vestiti ripiegati. Altro scomparto per la borsa del mare o della piscina, che quando è bagnata non sai mai dove appoggiarla. Sedili riscaldati. Portabagagli con divisori per le shopper riutilizzabili, che altrimenti cadono sempre giù, destra e sinistra.
C'est tout.

Non mi pare chiedere tanto, no? Sarebbe una macchina da ventimila euro anziché da diecimila. Quella di Vettel costa molto di più. E se qualcuno me la pagasse sarebbe perfetto, potrei essere una giovane precaria con poche possibilità di progetti futuri che si vede rimanere quei soldi in tasca piuttosto che versarli a rate e lacrime per la macchina.


CERCASI SPONSOR!

Sogni risplendono

La dedica.

Grazie Linda. 
Grazie Tiziano.

lunedì 21 novembre 2011

Edward e Bella e il consumo proibito. Ora basta!

La coppia simbolo della castità forzata del 2000
E fu così che finalmente Edward e Bella convolarono a nozze, copularono e fecero 'sto benedetto bambino ibrido.
Mi sento sollevata, basta con i vampiri innamorati degli umani ma che se consumano si sbranano, basta con le adolescenti che si strappano i capelli e con le trentenni che si ringalluzziscono, basta, basta, basta.
Io ci ho provato, non dico di no, non ho fatto la snob, e sono stata "iniziata" a forza a questo flagello rocambolesco in cui gli uomini diventano lupi, i lupi diventano innamorati, le sedicenni si innamorano dei cadaveri e i succhiasangue diventano vegetariani. Ma poi a metà di Twilight ho detto no, perché di Moccia me ne bastava uno italiano, e quindi stop. Ma sono stata trascinata al cinema, primo e secondo atto, perché qualcuno (non faccio nomi, che poi Susanna mi uccide) diceva che dovevo sapere come andasse avanti la storia. È che quando ho visto quei mostri saltare metri in mezzo agli alberi e due minuti dopo guidare un furgoncino scassato in camicia da boscaiolo, e un bamboccio biondo e cadaverico che piega a metà una macchina per salvare l'innamoranda, mi sono detta che i tempi dell'Incredibile Hulk li ho superati anni fa, quando abbandonai Uan, Super Vicky e Supercar.
Ora che hanno anche procreato, che sono tornati alla pace dell'eternità futura a Forks, e che i Volturi sono rientrati in Toscana, e facciamola finita con i drammi di Step e Babi in formato IUESEI. È oggi con grande emozione che grido ai quattro venti:

THE END.

martedì 15 novembre 2011

Baby Eva fa la cacca

Stavolta a momenti vomito. Sì, a momenti vomito.
La cacca, una roba tabù che si cerca di coprire in ogni modo.
La scena è questa. Tavolo di una pizzeria, tivù megagalattica LED accesa davanti agli occhi su un canale per ragazzi che trasmette cartoni animati e sit-com di imbecilli quindicenni. Sì, i figli del pizzettaro erano di quell'età, più o meno, e volevano vedere quel programma. Tra una parte del film e l'altra, eccoti le solite pubblicità di giocattoli e bambolotti. Ed ecco che vedo lei:

Baby Eva. 

Bambola come tante? No. 
Bambola che manda giù la pappa, e che dopo qualche minuto fa la cacca. Una bella cacca verde e gialla spalmata sul pannolino, che mi sono ritrovata a osservare mentre tagliavo la fetta gialla della mia pizza con le patate sopra. Una cacca brasiliana, oserei dire. Sì, quel verde e quel giallo. 
Una bambola dotata di un unico canale esofageo-rettale, o che ha un apparato digerente che va alla grande. Mangerà una pappa piena di fibre, la bimba. Certo, però, che la cacca verde e gialla è preoccupante. E i pannolini non sono lavabili, perciò veramente, come per i neonati, via nel cestino. E se ne ricomprano. Doppia spesa, doppio schifo.
Non parlo di tabù, non è che dico: "Uh, bleah, la cacca, copriamola!!!".
Mi sono semplicemente chiesta se da piccola avevo davvero bisogno di vedere la cacca di una bambola. No, non credo. Veramente immaginavo anche la pappa, perché la preparavo per finta. Oppure ci mettevo la mia, e mi incazzavo perché non avevano previsto un buco per mandarlo giù, quel cibo. Al massimo avevo un finto latte in un biberon che non si apriva. E quel finto latte dopo qualche mese cominciava a seccarsi.
Forse i bambini di oggi non riescono a immaginarla da soli una cacca, e c'è bisogno dell'aiutino. Boh.
Io non la capisco questa bambola. 
Aiutatemi, perché non l'ho capita. 
So solo che pur di vendere qualcosa mi hanno mandato la pizza di traverso.

venerdì 11 novembre 2011

98% Happy

Perché la perfezione come sempre, non esiste: ormai ci sono abituata a sentirmelo dire. E il 98 mi porta bene, meglio del 99.
Ma aver visto la prima dell'edizione del Corriere dell'Umbria di oggi è stato una soddisfazione inattesa. Per cui potrei quasi quasi dichiararmi un'aspirante giornalista.
Anzi, ora ce lo scrivo, lì nel profilo.
11-11-11, una data da non dimenticare.
Ninety-eight percent happy, c'è un 2% che sembra irraggiungibile, ma certo, sarebbe fare il record mondiale di felicità, che forse nessuno detiene... E tante volte dovessi poi schiattare dalla contentezza... diciamo che per ora mi devo far bastare il ninety-eight.


giovedì 3 novembre 2011

Ferruccio e la trincea

Oggi scendendo le scale per andare a prendere la macchina parcheggiata a garage ho trovato una situazione un po' strana. 
Sono rimasta di stucco guardando la scena che mi si è mostrata agli occhi. E il mio spirito scemo non ha potuto fare a meno di scattare una foto. Perché questa foto andava fatta.
Vivo da due settimane con trapani, martelli pneumatici e scalpelli che mi battono in testa, sì, proprio sopra la mia testa, visto che il bagno del piano superiore combacia col soffitto e in linea d'aria con la mia scrivania. Bumbumbumbum Trrrttrrrttrrrttrrrttrrr Picchepicchepicche Toctoctoc. Credo che abbiano prelevato una quantità mastodontica di tubi, cemento e piastrelle, manco fosse stato un bagno di duemila metri quadri. Poi ho capito tutto: è il bagno di Ferruccio. Ferruccio. Ferruccio. Ah, Ferruccio. Come ho fatto a non arrivarci prima? Ferruccio, certo! C'è un motivo per cui i muri del bagno di Ferruccio sono stati sviscerati fino a raggiungere il limite massimo in cui diventano quasi trasparenti. E il motivo non è la ricerca di perdite, come voleva far credere a tutti quando ha chiamato l'idraulico. 
Ferruccio scavava lui, con la rabbia di un lupo mannaro e la bava alla bocca e le mani sanguinanti, picchiando le pareti con le nocche, non con attrezzi potenti. Aveva fretta di raggiungere uno scopo. Il suo scopo. Creare un rifugio antiatomico pieno di vestiti di jeans e polo rosse e runners Reebok che gli tornasse utile nel 2012. 
E siccome non siamo alluvionati, la risposta è solo una: Ferruccio ha montato la trincea. Attonita, non posso che prendere atto del fatto che è certamente in fase di avvio qualcosa di molto pericoloso nel mio condominio, visto che lui corre agli armamenti. Quale strumento userà stavolta? Avrà montato un laser fulminante nella chiave della Focus e colpirà le gomme delle altre auto di notte, durante la sua abituale uscita, oppure si distenderà sotto la macchina, al buio e vestito di jeans e lancerà sassi con le mani mirando alle tempie dei malcapitati condomini? 
Forse è meglio che inizi le trattative. Posso schierarmi con lui e fare l'inviata dal fronte mentre combattiamo, una povera scema e un anarchico puro, offrendogli come scambio per l'alleanza il mio Liberty, con cui, dopo averlo velocemente scoperto, potremmo scappare come razzi in caso di imboscate inattese. 
Prime immagini dalla trincea

mercoledì 2 novembre 2011

Delle foto rubate di Scarlett Johannson


La faccia è quella in alto, non quella rossa qui sopra!!!

Recentissima la notizia della sentenza di condanna per l'abile hacker americano Christopher Chaney, che ha mostrato al mondo, tra gli altri, il didietro di Scarlett Johannson.
Rilevando che un corpo come quello, alzi la mano chi non vorrebbe averlo, e che la storia non ha fatto nemmeno scandalo, semmai pubblicità gratuita alla già stra-amata Scarlett, visto che alle varie protuberanze esposte ormai siamo tutti abituati, ho sgranato gli occhi di fronte alla possibile condanna del tipo.
121 anni di condanna. CENTOVENTUNO ANNI. Nemmeno so immaginarli. Se poi lo dici a Silvio, si scompiscia dalle risate.
Nella scaltrezza che fino alla cattura l'ha contraddistinto, Chrissie ha dimenticato di fare la richiesta di cambio residenza, per venirsene in Italia. Ahimé, povero amore, dev'essergli sfuggito, non l'aveva considerato. Avrebbe potuto esibire le foto del sedere come trofeo insieme a un corteo di indignati (perché le mogli non ne hanno uno così), per poi essere invitato alle feste di relax che tanto vanno di moda ora (e farsi massaggiare il suo). Sfilare ai party di Arcore con tanta bella gente (che cu*o!), e invece... Cavolo, ha perso il momento per ritrovarsi in qualche macchina blu adibita per l'occasione a Limousine con ministre-soubrette addormentate addosso e mani legate da bandane usate al tempo del trapianto. Sarebbero fioccati inviti a cena da politicanti di ogni genere. O richieste profumatamente pagate per mostrare al mondo il c*lo di Belèn (ah, no, quello lo fa già con l'aiuto di Corona).
Ora, per tutta la stima che nutro nei confronti degli hacker, penso che lui abbia proprio perso di vista la situazione.
Porca miseria, Chrissie, il fantastico attributo di Scarlett ti avrebbe fruttato un posticino d'oro qui da noi.
Sai che ti dico, carino? Vuoi vivere in America? Stattene in America, così impari.
Leggi e buoi dei paesi tuoi.
E se ce la fai a pagare tutta la cauzione, la prossima volta pensami. E metti anche le foto di qualche ometto.

lunedì 31 ottobre 2011

Dal diario di Simone


Felice che anche qualcun'altro si diverta a scrivere, come faccio io, delle emozioni.

Felice di aver trovato l'e-mail di Simone, stamattina, e di avergli suscitato sabato sera queste emozioni (dico la verità: in un primo momento ho pensato Oddio, è fatta, questo s'è innamorato di me, e adesso???, ma poi ho fatto una marea di risate). Grazie per il contributo!!!

Simone, io e te qualche rotella ce la siamo persa il giorno della laurea!!!

Dal diario digitale di Simone:

Caro diario,
ieri è stata per me una serata molto particolare.
Sembrava tutto normale, una cena tra amici in un ristorante carino e raffinato, tra qualche risata e il raccontarsi le ultime novità.
Stava per iniziare l'aperitivo, me lo ricordo bene, quando inaspettatamente ho sentito una voce: "Stai bene vestito così!".
Stavo parlando con M., ma quelle parole erano di una ragazza, e vicino a lui c'era solo Noemi. Se quelle parole non avessero avuto quel significato avrei pensato che a parlare fosse stata lei!
L'ho guardata velocemente, e subito dopo mi sono girato a fissare M.
Come ha fatto a tenere nascosto per così tanto tempo le sue qualità di ventriloquo?
Era stato perfetto. La voce, il timbro, il tono, ogni cosa.
Ero leggermente confuso, così ho chiesto "Come? ".
Ed è stato in quel momento che ho sentito ripetere la stessa frase, ma incredibilmente è stata Noemi a dirla! L'avevo vista con i miei occhi!
Quasi non ci credevo! Ero a bocca aperta e con gli occhi sbarrati. La mia felicità e la mia autostima hanno cominciato a crescere vertiginosamente, soprattutto quando ho capito, per logica, che è stata sempre lei a dire la prima frase.
Noemi che mi fa un complimento, e che lo ripete pochi secondi dopo, come a sottolineare che non si è trattato di un errore.
Dall'emozione sono riuscito a malapena a ringraziarla.
Ero certo che non aveva bevuto, nessuno lo stava facendo. Era bastata la visione di un rosato a farla cambiare in modo così radicale? Era un prosecco, ma pur sempre un rosato!
Che la miracolosa sparizione dell'ernia c'entri qualcosa? Cosa le sarà successo?
Poi ho pensato che erano domande che avrebbero potuto rovinare quel momento, che sarebbe stato meglio non pensarci.
Però dentro di me capivo che qualcosa non andava, c'era un'idea che cresceva nella mia mente e un nuovo stato d'animo che prendeva il sopravvento: quell'attimo non l'avrei mai più rivissuto, e tutto sarebbe tornato alla normalità.
Sono stati quelli i miei 15 minuti di celebrità di cui parla Warhol? Li ho già vissuti?
Mi sentivo come i Jalisse mentre cantavano la canzone vincitrice, l'ultima serata, dopo essere stati premiati.
Così mi domando: quanto è positivo vivere questi momenti?
Quando si raggiunge un apice si può solo godersi il momento, quell'intervallo.
Si, perchè l'essere consapevoli che non sarà sempre così crea inquietudine, che paradossalmente non ti fa apprezzare quello che si sta vivendo.
È positivo solo se non ci si culla troppo, coscienti che si è trattato solo di un attimo, e di non interpretarlo come un nuovo inizio.
Ho dunque deciso di prenderlo solo per quello che è stato. Un complimento.

mercoledì 26 ottobre 2011

Posta certificata per tutti

E sta' tranquillo, che di sicuro vengo da te ad attivare la posta certificata. Bella figura!!!



giovedì 20 ottobre 2011

Censimento 2011

Complimenti, Italia, per il grande passo in avanti. Finalmente qualcosa di informatizzato, gli impiegati avranno meno cartacce da guardare. Forse.
Eppure qualcosa che non mi convince c'è.
Nella mia mente, che ragiona per immagini molto più spesso di quanto io pensi, si è formato una sorta di diagramma/organigramma/programmino nonché proposta per la gestione aziendale dello stivale. Facendo un po' alla moda dei giudici.

Premesso che: 

- l'Italia è in crisi economica e il governo non ha manco due euro da parte e deve aumentare l'IVA al 21% -ma può permettersi auto blu e 40 giorni di ferie (ops, sto andando fuori tema)-;
- in Italia ci sono moltissimi disoccupati o anche assunti per un anno nel Servizio civile;
- i moduli dell'ISTAT per la compilazione sono arrivati a tutti in formato cartaceo;
- servirà del personale per l'elaborazione dei dati;

mi chiedevo oggi:

quanto costa in toto un plico contenente i moduli del censimento? La butto lì: 1 euro a plico, spedizione inclusa?  Diciamo 1 euro, cifra tonda fittizia, magari sbaglio, ma va be', ma di carta ce n'è parecchia.
I moduli possono essere compilati anche via Web, ergo il plico va a finire nella spazzatura. E ciò corrisponde a 1 euro buttato.
Quante famiglie (vere o presunte, io ad esempio sono una famiglia fake) lo ricevono? A casa mia mia, e non quella come la intende il censimento, ne sono arrivati tre. Tre residenze diverse per un domicilio unico. 3 euro.
Il mio euro è già finito nel cestino.
Quello della mamma+fratello ci finirà presto.
Quello di mio padre probabilmente tornerà in Comune.
2 euro finite nel cesso contro 1 euro che torna indietro. Buona media direi.

Propongo quanto segue:


risparmiamo i soldini del censimento partendo dal plico. Spedendo ad esempio una raccomandata a casa in cui avvertiamo che il censimento va compilato solo online, e che c'è una sanzione (come d'altra parte già esiste) per chi non lo fa.
Investiamo il resto dei soldini per dei contratti a progetto in modo da far guadagnare qualche disoccupato?
Oppure sfruttiamo i ragazzi del servizio civile che non sono impegnati in progetti particolari (e so di molti che non lo sono e scaldano la sedia degli enti).
Programmiamo delle visite a casa di chi non può o non sa compilare il censimento online.

Una buona organizzazione ottimizza i costi ed evita gli sprechi. E fa felice qualcuno dandogli qualcosa da fare, anziché lasciarlo a casa sull'orlo della depressione. Senza contare il fatto della bellezza del contatto umano quando ci si rende utili per qualcuno, che magari è anche felice di ricevere visite in casa visto che è solo.

Una buona organizzazione. Che purtroppo non appartiene all'Italia.

P.S.: una volta elaborati i plichi che tornano indietro, li accumulano tutti e ci fanno un falò nel tunnel tra il Cern e il Gran Sasso?


lunedì 17 ottobre 2011

Bialetti 2 tazze in protesta

La mia riot-caffettierina
Anche le caffettiere si ribellano.
No?
Come no.
Chiederle cortesemente di farmi un caffè dopo averla relegata da maggio in un angolo buio nell'armadietto delle pentole non ha sortito alcun effetto. Sono stata gentile. L'ho chiamata Caffettierina. Niente. Avrà pensato "Fa' pure, ma io non collaboro".
Tutti i torti non li ha, in fondo: è stata spodestata in quattro e quattr'otto, dopo mesi di operoso impegno, dalla modaiola Cialda che ormai aveva conquistato il consenso di tutti.
Cialda ora non c'è, e Caffettierina s'è ribellata.
Ti stimo Caffettierina.

venerdì 14 ottobre 2011

La differenza tra me e te


Ma se un bel giorno affacciandomi alla vita
tutta la tristezza fosse già finita
io verrei da te.


Celebrazione di un nuovo e da me attesissimo disco di Tiziano Ferro, nato sotto il segno della Bilancia. 

mercoledì 12 ottobre 2011

Della stomatite infantile

Oggi posso dare un merito a Facebook, strano ma vero. Perché grazie a un'amica ho avuto flash di ricordi spiacevoli, ma anche lo spunto per un post. La tipa in questione ha pubblicato un vecchio spot del galletto Vasleuplga (non voglio dare la parola chiave a Google per regalare pubblicità al marchio, ma il nostro cervello lo riconosce lo stesso) in cui tutti i commensali felici cantavano, col microfono e seduti a tavola, che quello era il pollo più buono di sempre.
Io quel maledetto galletto me lo ricordo per ben altri motivi, nella fattispecie: stomatite aftosa infantile (andatevela a cercare).
Avrò avuto sì e no otto anni e soffrivo come un cane per la febbre e perché quelle maledette bolle in bocca e sulla lingua mi avevano praticamente tolto ogni possibilità di cibarmi di alimenti diversi dal tè con biscotti spappolati, dal gelato o dai frullati insipidi che mandavo giù a fatica. Sì, perché i cibi troppo saporiti andavano tassativamente evitati: tra le varie cause della stomatite, infatti, può esserci anche un consumo eccessivo di cibi piccanti o acidi, almeno così mi dissero, e io ero un'incontenibile aficionada del salame.
A parte il dolore e le possibili quanto improbabili imprecazioni di bambina (forse dicevo "porca paletta!", o forse piagnucolavo e basta), io ricollego quella settimana di tribolazioni alla compagnia continua di mia nonna, a una tuta verde e a tantissima tivù (qualcosa dovevo pur fare). In particolare, ho il ricordo del galletto Vasleuplga. Non dimenticherò mai quella bestia di pubblicità su Canale 4+1 (il conto fatevelo), in cui qualcuno usciva dalla cucina con un piatto fumante e lo portava a tavola a un uomo aitante che esclamava: "Non ho mai visto una coscia così soda!".
A quella pubblicità seguiva un'acquolina in bocca notevole, che mi faceva anche quella male per le bolle, diamine, e il viaggio ripetuto da mia nonna che se ne stava quasi sempre in cucina, per dirle: "No', appena guarisco ce lo facciamo quel polletto, vero?", con lei che rispondeva pacifica: "Ma che quello, quello è finto, ti cucino uno dei nostri che è bello tosto".
Ecco, io ora non riesco a rintracciare quella pubblicità nemmeno su YouTube, e questo mi scoccia assai. Grazie, però, amica di Facebook, per il ricordo nostalgico/bittersweet.

sabato 8 ottobre 2011

Dell'onestà



October 8th Song. Buongiorno!


La canzone di un uomo probo. Forse Silvio l'ha ascoltata parecchio e ci ha riflettuto su.
Chissà se l'ha portata anche come intrattenimento alla festa di compleanno di Putin.

sabato 1 ottobre 2011

Dei criaturi


Non che pensi ai bambini. Insomma, non ancora, ecco.

Mi cadono le braccia, però, a sentire nonne che li trattano come bambolotti rincoglioniti, ripetendogli tutto il giorno le stesse identiche e uniche parole.
Naomi ha un anno compiuto da pochi giorni ed è una bellissima pallocchetta di bambina, ha capelli neri e corti con ciuffi che vanno per i fatti loro e una determinazione nel pianto che mette quasi paura. Vuole stare sempre in braccio o urla, o vuole trangugiare cubi di parmigiano reggiano come una mietitrebbia, o urla.
Ma si sente ripetere tutto il giorno solo quattro parole cantilenate: "Na-o-miiiii! Cu-cù! Cu-cù! Chi èèè? Mam-maaaaa!". 

Io una soluzione la propongo. Forse provando a incollare Naomi con del Bostik al pavimento, con un pupazzo e con la tivù accesa su Boing, fornendole chili di cubi di formaggio come pop-corn, la nonna si riposerebbe le braccia e la voce e Naomi amplierebbe il suo lessico, iniziando finalmente a parlare...

martedì 27 settembre 2011

Break needed

Dalle mie parti tutti i bambini conoscono da sempre una filastrocca cantata che recita:

Sotto il ponte di Baracca
c'è Mimì che fa la cacca
la fa dura dura dura
il dottore la misura
la misura trentatré
uno, due, tre.

A parte che io, non so per quale motivo, ho sempre pensato a questa scena in inverno con Mimì che fa la cacca tra la neve. Bah.
Domande dubbi idee supposizioni eccetera.

  1. Quanti anni ha Mimì?
    Secondo me è un bambino di circa quattro anni, ma possibile che un bambino vada da solo in giro a fare la cacca? (E nel mio caso, soprattutto in inverno e fra la neve?)
  2. Il ponte di Baracca esiste?
    Ebbene sì. Baracca è un posto in Piemonte. Cavolo. Io pensavo che fosse in Umbria e soprattutto ero indecisa sul fatto che fosse un vero ponte o un ponte fatto con i pezzi di una baracca. Due lamiere messe così, a U rovesciata, e facevano il ponte. Sotto a cui Mimì, ovviamente, faceva la cacca.
  3. Il dottore.
    Perché il dottore dovrebbe scomodarsi a misurare la cacca di uno che se ne va in giro per fatti suoi (a farla a quattro anni fra la neve)? Mimì era forse la cavia di un esperimento medico? Mimì si sforza, "aaaargghhh!", fa questa benedetta cacca e da dietro l'angolo sopraggiunge un medico in camice bianco, che spunta dalla destra dello schermo come il Lucarelli di Voyager della situazione e con un non ben definito (vedi sotto) strumento in mano e lo sguardo ammiccante dice: "Ora misuriamo la caccaaaa!"...
  4. La misura trentatré.
    Con cosa il dottore la misura? Cronometro? Metro? Termometro? E trentatré cosa? Trentatré secondi mi sembra un tempo di cacca da record. Mai cronometrato il mio tempo, ma trentatré secondi credo siano proprio troppo pochi per tutto il processo bagno-cacca-bidet (va be' che lui all'aperto non se lo fa il bidet), eccetera eccetera. Trentatré centimetri, se Mimì fosse un bambino, sarebbero un'enormità. Certo, anche se fosse un adulto dovrebbe avere il fiato di un apneista, la forza di Hulk e qualche serio problema intestinale. Trentatré gradi Celsius? Ma a che ci serve sapere la temperatura della cacca? Forse allora è vera l'ipotesi di prima, e cioè che Mimì fa da cavia per un esperimento medico. Trentatré millimetri (come suggerito da altri?) o trentatré grammi? Allora Mimì è un animaletto. Una capra, una pecora, roba così. 
Sì, ci sono: Mimì è una pecora e il dottore è il veterinario che deve visitarla. La pecora è scappata perché aveva paura del veterinario, il veterinario le è corso dietro e non riuscendo a visitarla si è accontentato di prendere quel campione da trentatré. E poi la pecora dalla paura non ha visto bene i bordi della stradina, lo zoccoletto le è scivolato lateralmente sul fango ed è finita nel fiume. 

Ma guarda tu che storie succedono solo per fare una cacca.

domenica 18 settembre 2011

Affermazioni oggettive sulla Lega Nord

"Noi siamo un partito politico, tutti gli altri sono archibugi e inciuci". 
Dal loro punto di vista e nella loro pazzia, secondo me quelli della Lega Nord hanno ragione. Crederanno pure in un progetto assurdo, razzista, secessionista e quant'altro, ma almeno ci credono (almeno finché Bossi non schiatterà). 
A noi altri giovani moderati, cresciuti da genitori che un'ideologia ce l'avevano ma che non sono riusciti a trasmetterci del tutto, complici anche i poco seri rappresentanti venuti dagli anni '80 in poi, resta da scegliere tra un fantoccio truccato e puttaniere che vive in un mondo tutto suo attorniato da scellerati, o una schiera di indecisi inchiodati alla poltrona che, tutti amici di qua tutti amici di là, guai a chi mette piede nel loro orticello.

Utopisti, bambolotti o falsi perbenisti. Ecco la nostra Italia politica. 


mercoledì 14 settembre 2011

Ciao, Toby!

Compagno di vita da quel giorno di maggio 1997, fino a ieri. 
Grazie per il viaggio insieme, Tobino bello, nessuno potrà mai sostituirti!




mercoledì 7 settembre 2011

E tu di che forma sei?



Tempo fa mi ritrovo dal parrucchiere con un numero di Cosmo fra le mani. Tra consigli su abiti, profumo, trucco, e menate psicologiche tipicamente femminili, ecco che ti spunta un trafiletto che parla della forma. Non della forma fisica, non della forma della borsetta, non della forma di labbra, viso endcò, bensì della formina che ci piace avere lì, proprio lì, nonché offrire (ove possibile) al(la) partner di turno.
Le formine illustrate sono varie, e vanno dalla più famosa alla più dolorosa. Da uno look nature all'altro, partendo dal cespuglio incolto per arrivare allo stile baby, passando per la strisciolina brazilian e per il triangolo accuratamente disegnato.
E se dentro di me penso finalmente, qualcuno scrive anche di questo, mi sorprendo anche a leggere quanto scritto sull'associazione formapatatina-formadelcorpo, che ovviamente su di me non corrisponde (toh, che strano!, ma anche: pace!). Sì, perché sembra facile ma non lo è. Secondo l'articolo, a ognuna di noi sta bene una forma.
Il cespuglio, a quanto pare, è un passe-partout. Sta bene a qualunque età, su qualunque corpo, di qualunque altezza bassezza magrezza o grassezza. E graziearca'. Fin qui ci arrivavo anche io. Se la natura ce l'ha messo così vorrà forse dire che così dev'essere? Almeno l'autrice si premura di consigliarci di dare una sfoltita. Grazie. E speriamo che tutte lo facciano, anche se ho i miei dubbi.
La strisciafiammifero-brazilianwax è sconsigliata alle cicciottine, perfetta solo per chi ha la pancia piatta: sembra infatti che allarghi le forme.
Il triangolo bicchieremartiniconoliva, sapientemente scolpito, aiuta chi ha i fianchi larghi a dare meno nell'occhio.
Il look total nude, infine, è da vere coraggiose, è per chi osa.
Al di là di ogni forma e delle possibili ideali varianti che una donna possa apprezzare, forse nella nostra epoca di pseudoemancipate è proprio l'ora di fare un po' di informazione in merito. Perché mi è capitato di incontrare donzelle e meno donzelle che alla domanda E tu come la porti? spalancano ancora gli occhi quasi a dire Perché, scusa, tu ci metti anche le mani?. Alla faccia del duemilaundici. Va be' che c'è ancora chi ha i peli delle ascelle e anche i baffi e le sopracciglia incolti. Va be', sì, se stiamo a guardare c'è proprio tutto in giro. Anche le estetiste antiche, grette e meschine, che se gli chiedi un inguine totale pensano subito che sei una che fa chissà quali numeri. Sì, mi è capitato. "Quanto sgambiamo, il necessario?" E scusa, che cos'è il "necessario"? È come il "normale": chi la fa la norma? Lo dico sempre io, largo ai giovani.
Certo, chi sceglie di andare oltre l'evergreen boscofolto sa benissimo che si addentrerà ben presto in un altro luogo oscuro, quello dell'eterno dilemma: vado di cera o vado di rasoio/creme? Chiunque converrà con me che la cera è dolorosissima, ma che fa comunque un liscio da mille e una notte. Il liscio agognato, sognato, desiderato. Eh, che liscio, con amicacera. Il rasoio è ok, ma pruriginoso, e lo lascerei per i casi limite, onde evitare di ritrovarsi camminare per la strada come una ballerina di salsa con tic nervosi. Usando Venere e Wilkins solo per un'aggiustatina urgente, se proprio dovesse essere richiesta. Insomma, bisognerebbe anche non essere troppo rigide con se stesse e soprattutto, se l'acconciatura è fatta su desiderio/per piacere altrui, cavolo, abbiate pazienza che senza ricrescita non si ha liscio. Sì, essere un po' originali costa fatica e costanza, soprattutto se l'area è naturalmente estesa.
Il dibattito con me stessa e con altri che ho sviluppato dopo la lettura dell'articolo è: quanto è fondamentale l'acconciatura per noi e per chi usufruisce del nostro bene prezioso? Quanto cambia fra un'amicapatata con capelli, con riga, con riporto, treccine o addirittura calva?
È scontato che quella più curata fa molto più chic di quella con pelo che sgomita voluminoso. Come andare a un colloquio in tailleur o abiti bon ton, oppure in divisa universitaria jeans maglietta e kefiah. Che ci si senta più o meno in ordine, più o meno attraenti, più o meno seducenti... Insomma, la differenza c'è, eccome. Ma trasandatezza a parte, quanto impatta veramente sull'occhio del pubblico il capello di un'amicapatata? In termini numerici, dico, di statistiche. Quanto le condizioni estetiche della signorina influiscono sulla vita delle persone? Quanti la vogliono così o cosà, quanti se ne fregano totalmente, e quante cedono al taglio o lo fanno solo per amor proprio, per ternersi "a posto"? L'amicapatata depilata ci rende davvero emancipate?
Urge sondaggio. Quasi quasi mi faccio aiutare da Susannasociologa a somministrare un questionario. Mi sa di sì. Vado!



venerdì 6 maggio 2011

Ferruccio e le scale

Ogni sera tra le 22.30 e le 22.45 Ferruccio usciva di casa. Passo felpato, falcata da podista, percorreva le scale velocemente a luce spenta, così al buio e così velocemente che a volte i vicini pensavano "farà un botto d'altri tempi".
Ferruccio aveva sessant'anni compiuti, non era un tipo piacente né allegro. Stempiato e con i capelli grigi, sempre ben tagliati, era musone, aria arrabbiata, e sempre pronto a battersi in prima linea per tutte le piccole ingiustizie del condominio. "È un'anarchia!", era la frase più frequente che gli sentivano dire. Usciva sempre vestito allo stesso modo. Jeans di taglio classico, color jeans, né trattati né alla moda, una polo rossa, grigia o bianca, in estate, una camicia sul celestino in primavera, una giacca casual di jeans, color jeans, imbottita in lana merinos per l'inverno. Runners bianche e blu ai piedi, catenina e bracciale a maglie grosse in oro giallo e una scia di acqua di colonia che non avrebbe colpito nemmeno una settantenne in crisi d'astinenza pluriennale.
Scendeva le scale di corsa, Ferruccio, e si apprestava a passare la sua ora, ora e mezza, in compagnia di una signora ucraina, cosa che turbava non poco l'umore di sua madre, ormai ultraottantenne e diabetica, che tutte le sere ripeteva con tono disperato e piagnucolante la stessa frase: "Ferruccio, ma do' vai a quest'ora...."
La discesa delle scale di Ferruccio era sempre un evento. Chiunque passasse per le rampe del condominio, a quell'orario, era perfettamente cosciente di poter incrociare una sorta di fantasma che veloce veloce lasciava una folata di colonia e si mimetizzava nel buio per non dare troppo nell'occhio. Ferruccio preferiva uscire indisturbato, ma a volte capitava che qualche vicino rompiscatole dovesse uscire proprio a quell'ora, e dunque lo costringeva a trovare i metodi più efficaci possibili per evitarlo.
Alla sua uscita dalla porta dell'appartamento, iniziava la rapida discesa che lo conduceva all'auto.
Se qualcuno stava uscendo o stava scendendo dai piani superiori, Ferruccio faceva sempre il calcolo mentale dei tempi e i gradini scorrevano sotto i suoi piedi ancora più velocemente, rigorosamente al buio.
Se qualcuno saliva dietro di lui, si sbrigava a correre a casa e a chiudere rapido la porta blindata dietro di lui, e se era molto tardi, a chiudere anche la serratura a quattro mandate, non fosse mai che il vicino lo perseguitasse.
Se invece era costretto a incontrare qualcuno faccia a faccia, magari a luce accesa, allora Ferruccio si preparava già prima. Procedeva con passo deciso, avanzava a testa bassa, lasciando quanto più libera possibile la rampa camminando, senza mai lasciarlo, attaccato al corrimano, accompagnato dal fruscio della pelle che correva sul metallo e dal tintinnio dei bottoni della giacca in jeans che battevano contro le stecche di ferro della ringhiera. Se poteva, Ferruccio evitava il saluto vero e proprio. Non era mai il primo a dire buongiorno o buonasera, e se rispondeva lo faceva con tale fatica che chi ormai lo conosceva bene risparmiava anche quel pochino di fiato per salutare Ferruccio a modo suo: un'alzata di occhi o un'alzata di testa.
E poi via. Giù, di corsa, filato, verso la porta dei garage, diritto allo sportello della noiosa Focus grigia chiara che aveva sostituito la precedente storica Renault 21 grigio antracite. Ferruccio usciva di casa con la chiave già in mano, e la teneva pronta all'uso, impugnandola così saldamente e brandendola in avanti, che poteva sembrare quasi un raggio laser fulminante antistupro, o un pugnale, o un'arma bianca, tanto era pronta ad infilarsi in quella serratura. Ferruccio attraversava la porta di metallo rossa e si dirigeva, sempre al buio, ancora più velocemente alla macchina, ben attento a evitare lo sguardo di vicini se ve ne fossero, ben attento a  far corrispondere perfettamente i suoi tempi con i loro in modo da non dover guardare, salutare, favellare.
In pochi secondi apriva il cancello automatico con il telecomandino dall'interno dell'auto, metteva in moto, faceva una manovra, sgommava e partiva alla volta di una nuova ma collaudata avventura notturna, sgasando per il viale pieno di auto parcheggiate e tirando la prima fino a far scoppiare il contagiri.