venerdì 6 maggio 2011

Ferruccio e le scale

Ogni sera tra le 22.30 e le 22.45 Ferruccio usciva di casa. Passo felpato, falcata da podista, percorreva le scale velocemente a luce spenta, così al buio e così velocemente che a volte i vicini pensavano "farà un botto d'altri tempi".
Ferruccio aveva sessant'anni compiuti, non era un tipo piacente né allegro. Stempiato e con i capelli grigi, sempre ben tagliati, era musone, aria arrabbiata, e sempre pronto a battersi in prima linea per tutte le piccole ingiustizie del condominio. "È un'anarchia!", era la frase più frequente che gli sentivano dire. Usciva sempre vestito allo stesso modo. Jeans di taglio classico, color jeans, né trattati né alla moda, una polo rossa, grigia o bianca, in estate, una camicia sul celestino in primavera, una giacca casual di jeans, color jeans, imbottita in lana merinos per l'inverno. Runners bianche e blu ai piedi, catenina e bracciale a maglie grosse in oro giallo e una scia di acqua di colonia che non avrebbe colpito nemmeno una settantenne in crisi d'astinenza pluriennale.
Scendeva le scale di corsa, Ferruccio, e si apprestava a passare la sua ora, ora e mezza, in compagnia di una signora ucraina, cosa che turbava non poco l'umore di sua madre, ormai ultraottantenne e diabetica, che tutte le sere ripeteva con tono disperato e piagnucolante la stessa frase: "Ferruccio, ma do' vai a quest'ora...."
La discesa delle scale di Ferruccio era sempre un evento. Chiunque passasse per le rampe del condominio, a quell'orario, era perfettamente cosciente di poter incrociare una sorta di fantasma che veloce veloce lasciava una folata di colonia e si mimetizzava nel buio per non dare troppo nell'occhio. Ferruccio preferiva uscire indisturbato, ma a volte capitava che qualche vicino rompiscatole dovesse uscire proprio a quell'ora, e dunque lo costringeva a trovare i metodi più efficaci possibili per evitarlo.
Alla sua uscita dalla porta dell'appartamento, iniziava la rapida discesa che lo conduceva all'auto.
Se qualcuno stava uscendo o stava scendendo dai piani superiori, Ferruccio faceva sempre il calcolo mentale dei tempi e i gradini scorrevano sotto i suoi piedi ancora più velocemente, rigorosamente al buio.
Se qualcuno saliva dietro di lui, si sbrigava a correre a casa e a chiudere rapido la porta blindata dietro di lui, e se era molto tardi, a chiudere anche la serratura a quattro mandate, non fosse mai che il vicino lo perseguitasse.
Se invece era costretto a incontrare qualcuno faccia a faccia, magari a luce accesa, allora Ferruccio si preparava già prima. Procedeva con passo deciso, avanzava a testa bassa, lasciando quanto più libera possibile la rampa camminando, senza mai lasciarlo, attaccato al corrimano, accompagnato dal fruscio della pelle che correva sul metallo e dal tintinnio dei bottoni della giacca in jeans che battevano contro le stecche di ferro della ringhiera. Se poteva, Ferruccio evitava il saluto vero e proprio. Non era mai il primo a dire buongiorno o buonasera, e se rispondeva lo faceva con tale fatica che chi ormai lo conosceva bene risparmiava anche quel pochino di fiato per salutare Ferruccio a modo suo: un'alzata di occhi o un'alzata di testa.
E poi via. Giù, di corsa, filato, verso la porta dei garage, diritto allo sportello della noiosa Focus grigia chiara che aveva sostituito la precedente storica Renault 21 grigio antracite. Ferruccio usciva di casa con la chiave già in mano, e la teneva pronta all'uso, impugnandola così saldamente e brandendola in avanti, che poteva sembrare quasi un raggio laser fulminante antistupro, o un pugnale, o un'arma bianca, tanto era pronta ad infilarsi in quella serratura. Ferruccio attraversava la porta di metallo rossa e si dirigeva, sempre al buio, ancora più velocemente alla macchina, ben attento a evitare lo sguardo di vicini se ve ne fossero, ben attento a  far corrispondere perfettamente i suoi tempi con i loro in modo da non dover guardare, salutare, favellare.
In pochi secondi apriva il cancello automatico con il telecomandino dall'interno dell'auto, metteva in moto, faceva una manovra, sgommava e partiva alla volta di una nuova ma collaudata avventura notturna, sgasando per il viale pieno di auto parcheggiate e tirando la prima fino a far scoppiare il contagiri.