giovedì 7 marzo 2013

Perché l’idea di democrazia di Grillo è inefficace


La filosofia della mosca incappucciata
Non sono una politologa, ma una semplice appassionata di politica. E sì, mi sono appassionata molto alla vicenda dell’Italia da quando Matteo Renzi ha iniziato a fare capolino e a risvegliare in me quell’istinto di amore patriottico che mi porto dietro da generazioni e che mi porta oggi a seguire alla soglia del patologico i vari Otto e mezzo, Ballarò e Servizio pubblico del caso. Da quando, insomma, il (vecchio) nuovo che avanza ha iniziato a farsi strada. Chiusa la mia parentesi su Matteone nazionale che, ci tenevo a dirlo, è uno dei pochi uomini di cui attualmente mi fido, apro la parentesi sul “peggio che avanza”: Beppe Grillo. Tra i punti principali della sua filosofia, dopo quello di correre in spiaggia a Bibbona incappucciato e con gli occhiali da mosca, svetta l’idea di applicare una democrazia senza delega. Dove tutti, cioè, possono esprimere in assemblee pubbliche, direttamente e con propria favella, il loro punto di vista. Tutti. Con propria favella. Il ché presuppone quanto meno che si abbia un forte senso di rispetto per gli altri e un forte spirito di tolleranza, e poi che siano presenti, come qualità accessorie, la conoscenza dell’ambiente in cui si parla e degli argomenti trattati, e infine la capacità di mettere insieme un discorso sensato e sintetico che attiri l’attenzione del pubblico. Una teoria del tutto sballata quella di togliere la delega, secondo me. Se non altro, impensabile da applicare in Italia.
Ed ecco spiegato il perché attraverso un esempio pratico, reale, vero, semplice, preso dalla gente comune, da fatti banali che non hanno particolare rilevanza sociale o ricadute sulle sorti del mondo: l’organizzazione della cena fra donne per l’8 marzo. Potrei partire dalla conclusione e lasciare alla fantasia lo sviluppo della storia, ma siccome mi è sembrata particolarmente calzante, mi tocca sviscerarla in fasi schematiche.
Situazione di partenza: Noemi, grazie alla tecnologia Internet, invia attraverso il noto sistema di chat Whatsapp un invito a cenare fuori per l’8 marzo a quattro amiche, che per comodità chiameremo amica Gi, amica Fe, amica Su e amica Sa.
Sviluppo 1: amica Gi estende l’invito ad altre quattro sue amiche, e in attesa di sapere il numero definitivo si decide: pizzeria o ristorante cinese?
Sviluppo 2: amica Gi conferma la presenza di altre tre amiche. Amica Fe dice che non ama molto il cinese, ma che, volendo, si adegua. Si inizia a discutere della possibile pizzeria in alternativa al cinese, si decide di optare per soluzioni non troppo lontane dal centro città.
Sviluppo 3: dopo aver trovato un punto di accordo su due probabili pizzerie valide, prima di decidere quale delle due chiamare amica Gi chiede, se non è un problema, di spostarsi in una nuova pizzeria perché offre un menu senza glutine adatto a una delle sue invitate, celiaca. Sembra che tutte siano d’accordo.
Sviluppo 4:
amica Su chiede se non si preferisca piuttosto cucinare a casa dato che sua cugina, da lei invitata in seconda battuta, può mettere a disposizione una bella stanza per starcene comodamente ed economicamente a casa.
Sviluppo 5: si va al voto. Meta preferita, pizzeria. Sia per la comodità di non dover organizzarsi e cucinare, sia perché alcune amiche di amica Gi non hanno voglia di andare a casa di una ragazza che non conoscono.

[Avviso: volete andare avanti nella lettura, o già siete stanchi? Questo è un racconto democratico e non vi mando fuori dalle palle, perciò liberi di scegliere!]

Sviluppo 6: si torna a optare per la pizzeria, ma amica Su espone la problematica di sua cugina, che non può proprio andare a cena fuori per motivi economici, e quindi chiede di voler restare a casa. Si torna ai voti. Il gruppo di amica Gi vuole la pizzeria. Noemi e amica Fe vogliono uscire e propendono per la pizzeria. Amica Su e amica Sa, in quanto sorelle e quindi entrambe cugine della proprietaria di casa/offerente, dicono che resteranno con lei perché ormai l’hanno invitata e sarebbe brutto lasciarla da sola.
Sviluppo 7: amica Gi chiede, infine, in quante si andrà in pizzeria per prenotare. Amica Fe dice che non va in pizzeria perché non conosce bene le amiche di amica Gi e, oltre tutto, queste sono molto più giovani di lei e si sentirebbe un po’ a disagio fra “piccole”. Amica Su e amica Sa sono ferme nella decisione di cenare a casa della cugina. Noemi, per non staccarsi dalle amiche storiche Su e Sa, decide (su richiesta) di seguirle e quindi andrà a cena a casa della cugina proprietaria di casa.

E ora, siore e siori, considerazioni.
- La persona che ha organizzato la serata (Noemi), alla fine non ha avuto potere di decisione.
- La massa più numerosa (Gi e amiche) ha preso una decisione individualmente, affidando la comunicazione ad amica Gi.
- Il soggetto esterno (la cugina con casa) ha influenzato due dei membri indecisi.
- Una delle invitate è uscita dal gruppo.
Cosa manca in questa comunissima espressione di riunione e di democrazia? Semplice: capacità di concertazione e delega finale a una persona incaricata, dopo aver ascoltato, di prendere la soluzione migliore per tutte. L’obiettivo iniziale era trascorrere una serata tutte insieme, il risultato finale è stato una divisione in tre parti delle nove (e ci tengo a sottolineare, solo nove) partecipanti.
Con i vari chiacchiericci che seguono l’episodio.

Come diceva sempre Luigi Muzii, il mio prof della specialistica, in occasioni di riunioni lavorative importanti le decisioni si prendevano sempre alla macchinetta del caffè. E non perché lavorasse con un ammasso di deficienti: semplicemente, perché i membri della riunione erano italiani. E, aggiungo io, abituati a una cultura in cui vince chi strilla di più senza ascoltare.
Tra loro, e anche tra noi, c’è chi ha votato Grillo credendo nell’eliminazione della delega.
Me lo vedo, io, il diciottenne che va in consiglio comunale per dire, magari con uno striscione e con coro di amici a seguito, che a scuola non accendono i termosifoni. E mi vedo anche gli anziani arrabbiati per la pensione minima che si mettono a sbraitare tutti insieme per avere un aumento. O i lavoratori licenziati che sfondano le porte, disperati per il loro futuro. Ma vedo anche il condomino rompiballe che non vuole più le cacche di cane sul marciapiede e il professionista snob che vuole far scansare il barbone dal portone del suo studio perché dà una brutta immagine.

Tutti hanno diritto di esprimere le loro ragioni. Ma delegando qualcuno.

“Troppi galli a canda’, nun ze fa mai giorno”, dicono a Terni.

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