martedì 8 gennaio 2013

Il potere della bilancia

Da che sono al mondo, non ho memoria di una, dico una sola donna che considerasse la bilancia pesapersone sua amica, tranne nel momento in cui era utile per capire se si sarebbe dovuto -o meno- pagare l'eccesso bagagli all'aeroporto.
Da che sono al mondo, nemmeno io ho mai avuto una bilancia amica e forse ciò è avvenuto anche con ragione rispetto a tante altre ossute del gentil sesso che dicevano di avere la pancia. Ma tant'è.
Crescendo ho iniziato a capire che la fatidica bilancia è un indicatore di noi, non tanto materiale quanto spirituale. Che è possibile instaurare una buona convivenza con lei a patto che siamo felici, apprezzate, amate, realizzate e a patto che noi stesse riusciamo a convincerci che il peso non è la fine del mondo.
Certo: se la natura ci ha concepiti per essere normopeso, il sovrappeso e il sottopeso sono qualcosa in più o in meno, come le plusvalenze o minusvalenze in un'azienda. Il punto centrale, però, è sempre lo stesso, da secoli: vai o non vai bene per la società in cui vivi, dunque sei adatta o meno adatta per la società stessa. I canoni di bellezza sono diversi per epoca, latitudine o longitudine e generalmente prevedono forme che rappresentano l'opposto delle condizioni economiche in cui si vive. Le cicciottine in aree sottosviluppate, le magrissime in occidente dove il benessere abbonda. Forse all'epoca odierna il ritorno alla moda delle pin-up o delle curvy è anch'esso un sintomo di crisi che avanza.
Pochi giorni fa ho letto un articolo del Corriere della Sera che titolava: Pesava 78 chili e adorava le bistecche. Ecco la donna perfetta nel 1912. Elsie Rebecca Scheel, così si chiamava la fortunata americana alta 1 metro e 69, era anche una mente fervida, era appassionata di automobili e di orticoltura ed era attivista e sostenitrice del voto alle donne.
Articolo e proporzioni di Elsie Rebecca Scheel - da Corriere della Sera

Scorrendo l'articolo di Emanuela Di Pasqua mi sono detta che, anche vivendo nel 1912 mi sarebbe mancato qualche chilo per essere perfetta, ma certo avrei avuto dalla mia le bistecche, l'orticoltura e le automobili. Oggi mi rendo conto che pur vivendo in una società che predilige le taglie 40 e che sta lentamente e scetticamente rivalutando le taglie morbide, io nel mio qualcosa in più ci sto bene e quasi bene. Ci sto bene perché mi piace l'immagine curvy, perché sono convinta che chi ha una prima o una seconda di tette non sempre riesce a darsi forma facilmente e perché la sensualità non dipende certo dal metro del sarto o dalla differenza grafica tra la lettera S e la lettera L. Anzi, a giudicarle esteticamente, la forma ad angolo retto della L mi piace anche più degli archi mai perfetti della S. Dico invece che ci sto quasi bene perché il mondo così com'è, almeno nel Bel Paese, non consente di vestirsi bene anche se stai bene (in salute e con te stessa). Siamo il paese delle false L e delle false 5e, il paese della 46 più stretta e dell'impossibilità di trovare agilmente il bottone che si chiude. Non dipende certo dai chiletti in più, semmai dalle fabbriche di abbigliamento che continuano a considerarci magre quando invece, in percentuale totale, magre non siamo. Non tutte, almeno. Per fortuna le scarpe, quelle entrano. Ricordo di un film, famoso e di cui mi sfugge il titolo, di una ragazza che diceva: "Mi sfogo con scarpe e borse perché quelle mi entrano sempre e comunque, il resto no". Ragionamento sbagliato. Cercare, cercare e cercare fino a star ben con sé stesse, questa è la chiave. Offrire uno spettacolo visivo, non necessariamente fisso negli standard, per i nostri occhi e per quelli altrui, ecco il segreto. Sarà un caso che negli scaffali dei saldi di Intimissimi le misure a cui è dedicato addirittura uno spazio comune sono la 1a e la 4a misura? Sarà un caso che le taglie definite "grandi" siano poche e sempre finite? Più che attribuire la colpa al caso, forse dovremmo darla alla cecità della società in cui viviamo. Quella degli abiti di tutte le taglie accessibili a tutti è una politica tanto difficile da adottare quanto è difficile scardinare il concetto, a mio vedere discriminatorio, di quote rosa.
Quello che più importa è capire quando il troppo storpia, in un senso o nell'altro. No al magro eccessivo, no al grasso che toglie il respiro. Ma il resto viviamocelo liberamente e con serenità. Sarò di parte, ok. E allora? I cicciottini sono più dolci e sensibili. Il sorriso è garantito. La femminilità non si trova nella taglia ma in come si indossa un abito, in come ci si rapporta con gli altri, nei gesti, negli atteggiamenti. Che non si imparano, ci sono e basta.
Dalla pagina Facebook Morbida e donna... io!
Con Serena, la collega-amica minuta e dal corpo di ballerina classica se ne parla sempre. Io mi lamento per l'abbondanza, lei per la carenza: guarda quanto sei femmina, io ho un corpo da dodicenne, mi fa lei, sì, ma io ho troppo, un po' di meno non guasterebbe, rispondo io. E penso che alla fine, opposte in fisicità e ognuna a modo proprio, abbiamo accettato l'incontrovertibilità della nostra natura e abbiamo compreso entrambe di avere qualità da competizione pari a quelle della Scheel nel 1912.
In fondo, nel dubbio, sono felice di aver ricevuto le plusvalenze giuste al momento giusto, assieme alla mente vivace e all'ironia che -come dice Beppe Severgnini in Italiani di domani, e lo dice lui- va sempre di pari passo con l'intelligenza.
Autostima, valorizzazione di sé, serenità. Solo così la nostra bilancia potrà dirci sempre "Sei bellissima".

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